Domanda
Il nuovo Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) dell’Amministrazione prevede, tra le misure a carico del dirigente dell’Ufficio personale, l’introduzione della clausola di rispetto del divieto di pantouflage nei nuovi contratti di reclutamento del personale. Vorrei sapere in quali tipologie di contratti va inserita.
Risposta
Il divieto di pantouflage o revolving doors (c.d. porte girevoli) è una delle misure concernenti l’imparzialità dei funzionari pubblici, introdotte dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge Severino). Si tratta di una sorta di “incompatibilità successiva” che viene a determinarsi quando un dipendente, che ha esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto di una pubblica amministrazione, viene successivamente assunto o inizia a collaborare, a titolo professionale, con il soggetto privato destinatario dei poteri autoritativi o negoziali. Il divieto è volto ad evitare che il dipendente sfrutti la propria posizione nell’intento di precostituirsi situazioni lavorative vantaggiose, pregiudicando, in tal modo, il perseguimento dell’interesse pubblico.
La norma di riferimento è l’art. 1, comma 42, lettera l) della legge 190/2012, che ha introdotto il comma 16-ter nell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165[1]. La sanzione prevista dal legislatore consiste nella nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti in violazione di tale disposizione e nel divieto, per il soggetto privato che ha stipulato i contratti o conferito gli incarichi con l’ex dipendente pubblico, di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo di tre anni.
In sede attuativa il divieto del pantouflage ha avuto un particolare rilevo nell’ambito della contrattualistica pubblica, in quanto gli operatori che partecipano alle gare sono chiamati a rilasciare una dichiarazione di non aver stipulato contratti di lavoro o affidato incarichi in violazione dell’art. 53, comma 16-ter del d.lgs. 165/2001 e tale dichiarazione deve essere verificata dalla stazione appaltante. Le pronunce giurisprudenziali e la riflessione dottrinale intorno all’ambito di applicazione di tale divieto sono per lo più originati da fattispecie riconducibili a gare d’appalto.
Con l’aggiornamento al Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2018 si suggerisce una misura ulteriore, consistente nel far sottoscrivere, al dipendente pubblico che cessa dall’incarico, l’impegno al rispetto del divieto di pantouflage.
Nel PNA 2019, si anticipa l’assunzione dell’impegno sin dalla fase di sottoscrizione del contratto, prevedendo che anche gli atti di assunzione del personale contemplino l’impegno a rispettare tale divieto.
A ben vedere, già il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2013 prevedeva che nei contratti di assunzione del personale dovesse essere inserita la clausola concernente il divieto di prestare attività lavorativa (a titolo di lavoro subordinato o di lavoro autonomo) per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto nei confronti dei destinatari di provvedimenti adottati o di contratti conclusi con l’apporto decisionale del dipendente.
Correttamente, dunque, il PTPCT dell’amministrazione prevede che l’ufficio personale adotti questa misura, che ha anche l’effetto di rendere preventivamente edotti i dipendenti del vincolo discendente dall’esercizio di poteri autoritativi o negoziali.
È ragionevole che l’ufficio personale si ponga il problema di individuare il corretto ambito di applicazione della disposizione, in quanto il divieto comporta una limitazione della libertà di iniziativa economica, costituzionalmente tutelata, e dunque la finalità di prevenzione della corruzione deve essere contemperata con il rispetto di tale libertà.
Occorre esaminare, da un lato, il tipo di rapporto di lavoro che lega il soggetto alla pubblica amministrazione e, dall’altro, il contenuto dell’attività lavorativa, in quanto il divieto discende dall’aver esercitato poteri autoritativi o negoziali.
Sotto il primo profilo, la norma utilizza la definizione “dipendenti” senza distinguere tra rapporti di lavoro a tempo determinato e indeterminato, pertanto è pacifico che si applichi ad entrambe le tipologie di contratti.
L’art. 21, del decreto legislativo 8 aprile 2016, n. 39 estende poi il divieto di pantouflage ai soggetti titolari di incarichi contemplati nel citato decreto, “ivi compresi” recita la disposizione “i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro subordinato o autonomo”.
A partire da tali previsioni normative l’ANAC estende l’ambito di applicazione della norma anche ad altri soggetti, legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di lavoro autonomo (parere ANAC AG/2 del 4 febbraio 2015 ribadito nei ultimi PNA adottati). Questa interpretazione desta perplessità in quanto, al contrario, proprio la circostanza che il legislatore abbia equiparato ai dipendenti i soggetti titolari di incarichi di cui al d.lgs. 39/2013 sembrerebbe confermare che l’ambito di applicazione non può che essere quello previsto dalla legge.
Sotto il profilo del tipo di funzioni esercitate, con l’espressione “poteri autoritativi o negoziali” si intende l’attività di emanazione di provvedimenti amministrativi e il perfezionamento di negozi giuridici, mediante la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente.
L’ANAC precisa che i dirigenti e i funzionari che svolgono incarichi dirigenziali o coloro che esercitano funzioni apicali con deleghe di rappresentanza esterna rientrano in tale ambito, come anche coloro che ricoprono incarichi amministrativi di vertice, anche se non emanano direttamente provvedimenti amministrativi e non stipulano negozi giuridici. Essi sono, infatti, senz’altro in grado di incidere sull’assunzione di decisioni da parte delle strutture di riferimento.
Andando oltre, l’ANAC ritiene che il rischio di precostituirsi situazioni lavorative favorevoli possa sussistere anche in capo al dipendente che ha comunque avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, collaborando all’istruttoria, ad esempio attraverso l’elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori (pareri, perizie, certificazioni) che vincolano in modo significativo il contenuto della decisione (parere ANAC AG/74 del 21 ottobre 2015 e orientamento n. 24/2015).
Anche tale interpretazione rischia di estendere in maniera eccessiva l’ambito di applicazione del divieto, pertanto è importante che, in sede applicativa, si verifichino in concreto le funzioni svolte dal dipendente.
Ad esempio, appare eccessivo che un lavoratore che venga assunto a tempo determinato o un soggetto che stipuli un contratto di collaborazione professionale, riconducibile ad un rapporto di lavoro autonomo, debba vincolarsi, in sede di stipula del contratto, al rispetto della disposizione di cui all’art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 165/2001, per il solo fatto che collaborerà in attività procedimentali finalizzate all’adozione di un provvedimento di autorizzazione, concessione o erogazione di sovvenzioni, sussidi o vantaggi economici. La sola collaborazione all’elaborazione dei provvedimenti o degli atti endoprocedimentali vincolanti non può giustificare la limitazione alla liberà di iniziativa economica.
Resta fermo che, se il dipendente poi, nel corso dell’attività lavorativa, abbia in concreto effettivamente svolto delle funzioni autoritative o negoziali, nei confronti di un dato soggetto privato, non possa essere assunto o collaborare con tale soggetto, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto con la pubblica amministrazione.
Di seguito una ipotesi di formulazione della clausola:
“Il sottoscritto dichiara di essere a conoscenza del divieto di cui all’art. 53, comma 16-ter del d.lgs. 165/2001 e si impegna fin d’ora, nel caso eserciti in concreto poteri autoritativi o negoziali nei confronti di soggetti privati, a non accettare incarichi lavorativi o professionali presso i medesimi soggetti, per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.”
[1] “16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”