Domanda
In vista della ripresa dell’attività in sede, alcuni dipendenti chiedono che l’Amministrazione effettui test sierologici per il COVID-19. L’amministrazione condivide le preoccupazioni dei dipendenti e vorrebbe rendere obbligatori tali test per tutti i dipendenti, al fine di individuare eventuali casi di contagio e limitarne la diffusione, ritenendo che la tutela della salute sia una priorità. Si può adottare questa misura o è necessario sempre il consenso degli interessati? La misura va concordata con il medico del lavoro?
Risposta
La posizione che ha assunto il Garante per la protezione dei dati personali, sin dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, è stata quella di contemperare il diritto alla privacy con l’esigenza di contenere il contagio. Il diritto alla privacy è un diritto di libertà e, in quanto tale, può essere compresso solo nella misura strettamente necessaria alla tutela del diritto alla salute della collettività.
Altro punto che troviamo nelle indicazioni del Garante è che i dati sanitari devono essere trattati soltanto dai soggetti a ciò istituzionalmente preposti, le istituzioni sanitarie e la protezione civile.
In particolare, con riferimento all’ambito lavorativo, occorre bilanciare l’interesse alla riservatezza dei dati personali dei lavoratori, con l’interesse alla salute e sicurezza sul lavoro. È, dunque, comprensibile che il datore di lavoro (sia esso pubblico o privato) si preoccupi di assicurare che nei propri uffici non si verifichino situazioni di contagio.
Occorre però mettere qualche paletto.
Così il Garante ha chiarito che, anche nell’attuale emergenza sanitaria, resta fermo il ruolo svolto dal medico competente (in coerenza con la disposizione dell’art. 41, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 in tema di sorveglianza sanitaria) e il datore di lavoro non deve comunicare i nominativi dei contagiati al rappresentate dei lavoratori per la sicurezza. Restano fermi, infatti, i princìpi di proporzionalità e di minimizzazione dei dati, sanciti nell’articolo 5 del Regolamento (UE) 2016/679, in materia di tutela dei dati personali.
Con un comunicato del 2 marzo 2020[1]. l’Autorità si era pronunciata relativamente alla possibilità o meno, per datori di lavoro pubblici e privati, di acquisire una “autodichiarazione” da parte dei dipendenti in ordine all’assenza di sintomi influenzali, e vicende relative alla sfera privata. A tal proposito il Garante aveva precisato che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa e che la finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato. Pertanto invitava ad attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dal Ministero della salute e dalle istituzioni competenti per la prevenzione della diffusione del Coronavirus, senza effettuare iniziative autonome che prevedano la raccolta di dati anche sulla salute di utenti e lavoratori che non siano normativamente previste o disposte dagli organi competenti
A fronte del mutare degli strumenti a disposizione per limitare il contagio, il Garante fornisce ulteriori indicazioni con riferimento proprio alla questione dei test sierologici.
Con il Comunicato del 14 maggio[2] si precisa che:
- nell’ambito del sistema di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro o di protocolli di sicurezza anti-contagio, il datore di lavoro può richiedere ai propri dipendenti di effettuare test sierologici solo se disposto dal medico competente o da altro professionista sanitario in base alle norme relative all’emergenza epidemiologica;
- le visite e gli accertamenti, anche ai fini della valutazione della riammissione al lavoro del dipendente, devono essere posti in essere dal medico competente o da altro personale sanitario, e, comunque, nel rispetto delle disposizioni generali che vietano al datore di lavoro di effettuare direttamente esami diagnostici sui dipendenti;
- la partecipazione agli screening sierologici promossi dai Dipartimenti di prevenzione regionali nei confronti di particolari categorie di lavoratori a rischio di contagio, come operatori sanitari e forze dell’ordine, può avvenire solo su base volontaria.
Tale impostazione assicura il rispetto del l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori che vieta accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro.
Pertanto, con riferimento al quesito proposto, si ritiene che l’Amministrazione non possa procedere autonomamente all’effettuazione di test sierologici a tappeto sui propri dipendenti, tantomeno senza il consenso degli interessati. La misura deve essere disposta dalle autorità competenti e i dati personali possono essere trattati soltanto dalle medesime autorità, per disporre le misure di contenimento epidemiologico previste dalla normativa d’urgenza in vigore (es. isolamento domiciliare).
Si raccomanda invece di attenersi alle disposizioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro tra Governo e parti sociali del 24 aprile 2020[3], recepito nell’Allegato 6, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020.
[1] https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9282117[2] https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9343635
[3] https://www.lavoro.gov.it/notizie/Documents/Protocollo-24-aprile-2020-condiviso-misure-di-contrasto%20Covid-19.pdf