Domanda

Nei mesi scorsi il nostro comune ha introdotto la carta di identità elettronica (C.I.E.). Qual è la corretta contabilizzazione a bilancio delle relative voci di entrata e di spesa, alla luce dei nuovi principi contabili introdotto dal d.lgs. 118/2011?

Risposta

Come noto la carta di identità elettronica (C.I.E.) è stata prevista dall’art.10, comma 3 del D.L. 78/2015 che rinviava ad un successivo decreto ministeriale attuativo, per la definizione delle modalità tecniche di emissione, adottato il 23/12/2015 (G.U. n. 302 del 30/12/2015). Il successivo decreto ministeriale 25/05/2016 (G.U. n.139 del 16/06/2016) ha definito l’ammontare del corrispettivo a carico del richiedente la C.I.E., fissandolo in € 13,76 oltre iva, per un importo totale di € 16,79. A tale importo, spettante allo Stato, si aggiungono i diritti fissi e di segreteria, che spettano invece al comune, ai sensi della L. 604/1962 e dell’art. 10, comma 12-ter del d.l. 8/1993, pari a complessivi € 5,42. Il comune, purché non versi in condizioni di deficitarietà strutturale, può ridurre, ovvero azzerare con deliberazione della giunta comunale le somme ad esso spettanti, ai sensi dell’art.2, comma 15, della legge 15/05/1997, n. 127. Infine il decreto ministeriale del 11/04/2007 ha definito le modalità di riassegnazione ai comuni delle somme derivanti dal rilascio della C.I.E., quantificandole in € 0,70 per ogni carta di identità rilasciata dal comune stesso, con riversamento trimestrale.

In merito alla contabilizzazione dei diritti fissi e di segreteria spettanti al comune non ci sono dubbi particolari: vanno iscritti al titolo 3 dell’entrata, tipologia 100, categoria 2, P.Fin. E.3.01.02.01.032 – Proventi da diritti di segreteria e rogito per la quota relativa ai diritti e alla voce di P.Fin. E.3.01.02.01.033 – Proventi da rilascio documenti e diritti di cancelleria, per la quota relativa al diritto fisso.

Più complessa è l’individuazione della corretta contabilizzazione dell’importo di € 16,79 spettante allo Stato. Non a caso si osservano tra gli enti comportamenti difformi: taluni iscrivono queste somme al titolo 3 dell’entrata e al titolo 1 della spesa, altri al titolo 9 dell’entrata e al titolo 7 della spesa. Si ritiene che l’imputazione corretta sia quella dei servizi per conto terzi e partite di giro, in quanto sussistono tutti i requisiti previsti dal punto 7.1 del principio contabile allegato 4/2 al DLgs. 118/2011. Esso afferma infatti che rientrano fra queste “le transazioni poste in essere per conto di altri soggetti in assenza di qualsiasi discrezionalità ed autonomia decisionale da parte dell’ente”. Ed ancora: “l’autonomia decisionale sussiste quando l’ente concorre alla definizione di almeno uno dei seguenti elementi della transazione: ammontare, tempi e destinatari della spesa”. Pertanto, essendo l’ente privo di ogni discrezionalità in merito a questa entrata, e alla corrispondente spesa, la loro corretta imputazione è da individuarsi al titolo 9, tipologia 200, categoria 1, P.Fin. E.9.02.01.02.001 – Rimborso per acquisto di servizi per conto di terzi. Simmetricamente, il loro riversamento quindicinale a favore del bilancio dello Stato va imputato al titolo 7 della spesa, missione 99, programma 1, macroaggregato 2, P.Fin. U.7.02.01.02.001 – Acquisto di servizi per conto di terzi.

Da tale diversa contabilizzazione delle due componenti di entrata (quota di spettanza del comune e quota di spettanza dello Stato) deriva un evidente aggravio per l’ente, che si trova a dover scindere in due parti il provvisorio di entrata e ad emettere, a fronte di esso, due distinte reversali di incasso.

In merito alla contabilizzazione delle somme riversate dallo Stato all’ente, trattandosi di un vero e proprio ristoro per la copertura delle spese connesse alla gestione e distribuzione della carta sostenute dall’ente, si ritiene che le stesse vadano iscritte al titolo 3 dell’entrata, tipologia 100, categoria 2, P.Fin. E.3.01.02.01.999 – Proventi da servizi n.a.c.

Un’ultima considerazione in merito all’IVA: l’infelice espressione utilizzata dal Legislatore nel decreto ministeriale che fissa l’importo delle somme spettanti allo Stato ha ingenerato talora dubbi e confusione. Il decreto parla infatti di ‘corrispettivo’ e di importo ‘oltre iva’. È del tutto evidente che ci si trova nell’ambito di attività istituzionali degli enti interessati, ovvero Stato e comuni, che nulla hanno a che vedere con l’applicazione dell’Iva e con gli obblighi fiscali che ne conseguono.