Domanda

In seguito all’avvio di una procedura per l’aggiudicazione del servizio di pulizia  (di importo sotto la soglia comunitaria) del comune in cui lavoro, un operatore economico si è soffermato sull’inserimento della clausola sociale evidenziandone la non obbligatorietà e, soprattutto, affermando che l’inserimento in un appalto di importo contenuto avrebbe dovuto trovare adeguata motivazione. E’ possibile avere un chiarimento in merito?

Risposta

I rilievi devono essere contestualizzati e distinti nel senso che occorre separare gli “effetti” della clausola sociale – che ha l’obiettivo di mantenere inalterato il livello occupazionale soprattutto nei servizi ad alta intensità di manodopera – dagli obblighi o meno del RUP di prevederne l’inserimento nel disciplinare.

L’aspetto che per primo deve essere affrontato è quello dell’obbligo, o meno, dell’inserimento.

L’art. 50 del codice dei contratti, per effetto delle modifiche apportate dal decreto legislativo correttivo n. 56/2017 ora impone, senza possibilità di deroga, l’obbligo di inserire negli appalti di servizi – non di natura intellettuale – ad alta intensità di manodopera (e sono tali “quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto”). La disposizione si riferisce agli appalti sopra la soglia comunitaria (euro 221.000,00 per i comuni dal 1° gennaio 2018).

Negli appalti sotto la soglia – fermo restando che per i servizi di pulizia già dispongono i contratti di settore – il RUP ha la facoltà di inserire la clausola. Il problema della motivazione appare in realtà residuale nel senso che, proprio nel caso specifico, è sufficiente giustificare che tale previsione è determinata dalla circostanza di appaltare un servizio ad alta intensità di manodopera.

Le implicazioni della clausola sociale sono state ampiamente chiarite dall’ANAC (e prima ancora dall’AVCP) e, soprattutto, dalla giurisprudenza.

Il RUP deve prevedere ed interpretare la clausola sociale secondo un canone di correttezza ed in senso comunitario non potendo pretendere dall’appaltatore l’assorbimento obbligatorio (a pena di revoca dell’appalto) del personale del pregresso affidatario.

La clausola e gli obblighi conseguenti devono essere armonizzati con la situazione oggettiva dell’appaltatore e quindi con la propria organizzazione di impresa.

Il concetto risulta chiaramente ribadito da recentissima giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, sentenza del 17 gennaio 2018 n. 272).

Nel caso di specie, il giudice ha ribadito, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che “la c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti essa lesiva della concorrenza, scoraggiando la partecipazione alla gara e limitando ultroneamente la platea dei partecipanti, nonché atta a ledere la libertà d’impresa, riconosciuta e garantita dall’art. 41 Cost., che sta a fondamento dell’autogoverno dei fattori di produzione e dell’autonomia di gestione propria dell’archetipo del contratto di appalto, sicché tale clausola deve essere interpretata in modo da non limitare la libertà di iniziativa economica e, comunque, evitando di attribuirle un effetto automaticamente e rigidamente escludente; conseguentemente l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori alle dipendenze dell’appaltatore uscente, nello stesso posto di lavoro e nel contesto dello stesso appalto, deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione di impresa prescelta dall’imprenditore subentrante; i lavoratori, che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall’appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali; la clausola non comporta invece alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. Cons. Stato, III, n. 1255/2016; n. 5598/2015; vedi anche, IV, n. 2433/2016)” (così Cons. Stato, Sez. III, 5/5/2017, n. 2078)”.

Pertanto, l’obbligo di riassorbimento del personale impiegato dal precedente appaltatore va comunque armonizzato con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante, e ciò anche laddove tale obbligo sia previsto dalla contrattazione collettiva. È chiaro, naturalmente, che l’appaltatore deve altresì tenere un comportamento improntato ai canoni della correttezza e della buona fede e su questo il RUP dovrà attentamente vigilare.