Domanda
Il codice di comportamento del nostro comune è stato adottato nel 2014. È necessario predisporre un nuovo codice di comportamento di ente?
Risposta
La legge Severino (legge 6 novembre 2012, n. 190), all’articolo 1, comma 44, ha sostituito l’intero articolo 54, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ed ha stabilito, per la prima volta (comma 5), che le previsioni del codice di comportamento nazionale, fossero integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni. Come tutti sappiamo, il nuovo codice di comportamento nazionale venne, poi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 16 aprile 2013, n. 62, il quale, all’articolo 1, comma 2, non poteva che ribadire l’obbligo per le P.A. di dotarsi di un codice di comportamento di ente.
Così è stato fatto – tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – dalla totalità delle pubbliche amministrazioni italiane ed oggi, il codice nazionale e quello di ente fanno buona mostra di sé, nei siti web di tutte le P.A. nella sezione: Amministrazione trasparente> Disposizioni generali> Atti generali.
Per rendere più cogente l’obbligo, il legislatore nazionale intervenne scrivendo l’articolo 19, comma 5, lettera b), del decreto-legge 90/2014, in cui si stabiliva una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro per i soggetti che omettevano la redazione del codice di comportamento di ente. L’ANAC – nella sua fase di massimo “splendore creativo” – riuscì, con un regolamento del 9 settembre 2014, ad allargare le maglie della legge, prevedendo la medesima sanzione, anche per gli enti che avevano adottato un codice di ente meramente riproduttivo del Codice di comportamento emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 o l’approvazione di un provvedimento, il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell’amministrazione interessata.
Insomma: l’ANAC prometteva multe per tutti. Per chi non provvedeva, ma anche per chi copiava la legge senza integrarla a sufficienza o per chi – complice il web – aveva copiato dal vicino di banco.
Nel Piano Anticorruzione Nazionale (PNA) dell’anno 2019 – delibera n. 1074 del 21 novembre 2018 – l’ANAC ha utilizzato tutto il paragrafo 8 per spiegarci che aveva deciso “di condurre sul tema dei codici di comportamento un notevole sforzo di approfondimento sui punti più rilevanti della nuova disciplina e partendo dalla constatazione della scarsa innovatività dei codici di amministrazione che potremmo chiamare “di prima generazione”, in quanto adottati a valle dell’entrata in vigore del d.P.R. 63/2013 e delle prime Linee Guida ANAC dell’ottobre del 2013. Tali codici, infatti, si sono, nella stragrande maggioranza dei casi, limitati a riprodurre le previsioni del codice nazionale, nonostante il richiamo delle Linee guida ANAC sulla inutilità e non opportunità di una simile scelta”.
Sull’argomento, l’ANAC preannunciava – per i primi mesi del 2019 – l’emanazione di apposite (nuove) linee guida generali con le quali “si daranno istruzioni alle amministrazioni quanto ai contenuti dei codici (doveri e modi da seguire per un loro rispetto condiviso), al procedimento per la loro formazione, agli strumenti di controllo sul rispetto dei doveri di comportamento, in primo luogo in sede di responsabilità disciplinare”.
Le Linee guida non hanno visto la luce nel promesso anno 2019 (annus horribilis per l’Autorità), ma in quello successivo, per il tramite della delibera ANAC n. 177 del 19 febbraio 2020, suddivisa in sedici paragrafi, per un totale di 36 pagine.
In soldoni, le nuove linee guida ribadiscono che i codici di comportamento di ente – quelli che sarebbero di “seconda generazione” – devono integrare e specificare i contenuti del codice generale. Che la loro adozione deve essere preceduta da una “procedura aperta alla partecipazione” e che sulla stesura definitiva, occorre il parere obbligatorio (ma non vincolante) dell’OIV o Nucleo di valutazione. Non grandissime novità – potremmo dire – dal momento che si tratta di disposizioni legislative note dal novembre del 2012.
Svolta questa lunga – e forse inutile – premessa, si risponde al quesito nel modo seguente:
a) Non è obbligatorio rifare il codice di comportamento di ente;
b) Non c’è una legge che lo preveda o un termine da rispettare;
c) Non ci sono sanzioni per chi decide di tenersi quello che ha già, se funziona;
d) Può essere utile e, in alcuni casi necessario – dopo sei anni del “vecchio codice” – prevedere un tagliando anche alla luce delle esperienze maturate nell’ente, dell’applicabilità del vecchio codice, della eventuale necessità di aggiornarlo e renderlo più chiaro ed efficace, soprattutto per ciò che concerne i comportamenti, le dichiarazioni e comunicazioni dei dipendenti (artt. 5, 6 e 13 codice generale) e la loro tempistica;
e) Se il RPCT decide di metterci le mani – magari perché la misura è stata anche prevista nel PTPCT 2020/2022 – occorre fare riferimento alle Linee guida ANAC, prestando una particolare attenzione ai paragrafi:
– 11. Procedura di formazione dei codici;
– 12. Struttura dei codici;
– 15. Formazione sui contenuti dei codici di comportamento;
– 16. Vigilanza sull’applicazione dei codici.