In materia Iva non si riscontrano indicazioni per la definizione puntuale del concetto di “bene ammortizzabile”, nonostante la sua essenzialità, ad esempio, nell’ambito dei rimborsi o delle rettifiche della detrazione.
Nel contesto delle imposte sui redditi ne si ha invece una enunciazione negli artt. 102 e 103 TUIR, in virtù dei quali è possibile affermare che sono da considerare ammortizzabili i beni utilizzati in modo durevole nell’attività dell’impresa direttamente dall’imprenditore, che ne ha il possesso a titolo di proprietà o di altro diritto reale. I requisiti essenziali dei beni ammortizzabili, anche in virtù dell’art. 2424 c.c. e dei principi contabili, sono pertanto così riassumibili:
– strumentalità, ovvero inidoneità dei beni alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui sono inseriti;
– riconducibilità alle immobilizzazioni materiali o immateriali, per la loro idoneità ad un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile, e per il potere dell’imprenditore di disporne in quanto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento.
Nell’assenza di specificazioni da parte del Legislatore, si è registrato, nella prassi e nella giurisprudenza, un orientamento che estende la definizione illustrata anche al campo Iva.
Proprio sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte che, con la sentenza 13162/2024 in materia di rimborso ex art. 30, comma 3, lett. c), DPR 633/1972, hanno chiarito come, per un corretto inquadramento del concetto di “bene ammortizzabile” ai fini Iva, non può farsi riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette sopracitate, né alle disposizioni relative al bilancio contenute nel codice civile o ai principi contabili.
L’unico parametro cui affidarsi è la Direttiva Iva n. 2006/112 che delinea la nozione ampia e sostanzialmente economica di “beni di investimento” agli artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a), e 190. Ciò in virtù della natura “armonizzata” dell’Iva e dell’obbligo d’interpretazione conforme, quale strumento attuativo del principio di primazia del diritto unionale.
Devono essere quindi considerati “ammortizzabili” ai fini Iva quei beni che “pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali)”.
La Corte, per tali ragioni, conclude riconoscendo all’esercente attività d’impresa o professionale il diritto al rimborso Iva in relazione ai lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, a condizione che sussista un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta.
L’espressione “acquisto di beni ammortizzabili” di cui all’art. 30 DPR Iva deve essere intesa come disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo, ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni all’esercizio dell’impresa.
Si tratta di un importante tassello, che si aggiunge a quanto già analogamente sostenuto dalle Sezioni Unite nel 2018 (sent. 11533) nel contesto della detrazione Iva, coerente con il carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità dell’imposta.