“Distacco/Prestito” dei lavoratori negli enti locali: primi chiarimenti

Il tema dell’imponibilità IVA del riaddebito delle spese nell’ambito del distacco/prestito di personale è senza dubbio uno dei temi più discussi del momento.

Nell’attesa di indicazioni ufficiali da parte dell’amministrazione finanziaria, ci sono pervenute notizie di fatturazione tra le più strane. La sensazione è quella di una trasposizione sic et simpliciter nella dimensione degli Enti locali di logiche e previsioni tipicamente privatistiche.

Tutto ha inizio con la sentenza della Corte di giustizia UE dell’11 marzo 2020, C- 94/19, che ha stabilito che la normativa europea «osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente».

Per adeguare l’ordinamento nazionale a questa interpretazione della Corte, l’art. 16-ter del Decreto Salva Infrazioni UE (DL 131/2024), facendo salvi i comportamenti adottati fino al 1° gennaio 2025 per i quali non siano intervenuti accertamenti definitivi, ha abrogato l’articolo 8, comma 35, della Legge 67/88, che escludeva espressamente la rilevanza IVA per i «prestiti o distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo».

E’ per i contratti stipulati o rinnovati dal 2025 che si pone quindi la questione dell’applicazione dell’IVA.

Rimandando a futuri commenti l’analisi della rilevanza IVA delle fattispecie concrete (che richiederà la valutazione accurata della sussistenza di tutti i presupposti per l’applicazione dell’imposta – ed in modo particolare requisito soggettivo e oggettivo, ovvero nesso sinallagmatico tra prestazione “distacco” e controprestazione “rimborso spese”), riteniamo fondamentale richiamare in questo primo commento gli aspetti chiave che differenziano il settore privato da quello pubblico, per evitare possibili errate equiparazioni.

Troppo spesso, infatti, il termine distacco viene utilizzato nel settore pubblico perlopiù impropriamente.

Volendo semplificare e riassumere, nell’ambito privatistico il distacco è previsto è disciplinato dall’art. 30 della Legge Biaggi (DLgs. 276/2003) e si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Per espressa previsione dell’art. 1 DLgs. 276/2003 tale decreto non trova applicazione per le PA e per il loro personale.

Nell’ambito pubblico si registra una pluralità di forme di “prestito di personale”, tra cui spicca, innanzitutto, il comando di cui all’art. 56 del TU 3/57, in virtù del quale il pubblico impiegato, titolare di un ruolo presso una PA, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra PA o presso altro ente pubblico. A differenza del distacco privatistico il comando classico è attuato nell’interesse della PA presso la quale il lavoratore è comandato ed è disposto con provvedimento amministrativo della PA beneficiaria.  Nel comando, fermo restando il rapporto organico che continua ad intercorrere tra il dipendente e l’ente di appartenenza, si modifica il rapporto di servizio, atteso che il dipendente pubblico è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, che gerarchico-disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale presta la propria opera (cfr., ex multis, Cass. ord. 4390/2024). Il comando è anche contemplato dall’art. 30, comma 2-sexies, DLgs. 165/2001, il quale stabilisce che “Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto”.

Si differenzia dal comando l’avvalimento, che si verifica quando l’amministrazione non crea una propria struttura per svolgere la funzione a lei assegnata ma si avvale degli uffici di un altro ente, senza che a quest’ultimo venga delegata la funzione stessa. L’avvalimento non comporta alcuna modifica nel rapporto di impiego del personale, che rimane formalmente inquadrato nell’ente di origine. Non si verifica, pertanto, alcuna separazione tra il rapporto di impiego e quello di servizio (cfr. Cass. 13482/2018).

Una fattispecie ulteriore è l’utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso dalla sua sede di servizio, conosciuta come “distacco di diritto pubblico” nella giurisprudenza amministrativa. Questo istituto, non previsto dalla legislazione del pubblico impiego, si differenzia dal comando perché il dipendente resta all’interno della stessa PA, ed è semplicemente assegnato a un ufficio diverso. In questo caso, non sono coinvolte due amministrazioni. A rilevare ovviamente sono quindi le esigenze dell’unica amministrazione interessata, ovvero l’amministrazione di appartenenza (cfrCass. 1471/2024).

Vi è poi l’ipotesi dei protocolli d’intesa per l’assegnazione temporanea di personale ad altre PA o imprese private, destinato a singoli progetti di interesse specifico dell’amministrazione, disciplinata dall’art. 23-bis, comma 7, del DLgs. 165/2001. Sebbene questa forma di mobilità temporanea possa sembrare simile al comando classico, la stessa presenta importanti differenze postulando la necessità di un accordo formale tra le parti ed il fatto di essere finalizzata a realizzare quantomeno un interesse della PA di appartenenza.

Infine, tra gli schemi classici più in uso, vi è anche il collocamento fuori ruolo di cui all’art. 58 del TU 3/57, il quale stabilisce che “Il collocamento fuori ruolo può essere disposto per il disimpegno di funzioni dello Stato o di altri enti pubblici attinenti agli interessi dell’amministrazione che lo dispone e che non rientrino nei compiti istituzionali dell’amministrazione stessa”.

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