Assenze – Malattia conseguente infortunio sul lavoro – Computabilità ai fini del comporto

“Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 cod.civ., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinchè l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod.civ.”.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione – Civile, sezione lavoro – con la sentenza n. 2527 del 04 febbraio 2020, con la quale ha accolto il ricorso di un datore di lavoro avverso la decisione di una corte d’appello che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato ad una dipendente, per superamento del periodo di comporto.
In particolare, il giudice territoriale aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad una lavoratrice per superamento del periodo di comporto, ritenendo giustificata la protratta assenza dal posto di lavoro in considerazione della sussistenza di un nesso di causalità tra un infortunio sul lavoro subito (caduta sul pavimento) e assenza per malattia.
Tuttavia, cassando la decisione, i Giudici di legittimità illustrano che la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto, non si verifica nelle ipotesi in cui l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all’obbligazione
contrattuale a lui facente carico ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica – per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l’impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata.
Peraltro, prosegue la Cassazione, nessuna norma imperativa vieta che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento l’art. 2110 c.c., quelle dovute a infortuni sul lavoro, né tale esclusione – che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata – incontra limiti nella stessa disposizione, che, come lascia ampia libertà all’autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale libertà, quale è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi.