La sentenza della Cassazione n. 24022 del 6.09.2024 specifica che, per poter derogare al principio generale dell’applicazione unitaria e cumulativa dell’IVA, mediante l’opzione per l’applicazione separata ex art. 36, comma 3, del DPR 633/72, non è sufficiente un atto di volontà.
La scelta di adottare contabilità separate è ammessa, solo laddove le diverse attività economiche (imponibili ed esenti) siano:
– sostanzialmente diverse (non essendo decisiva sul punto la mera attribuzione di un diverso codice ATECO);
– effettivamente scindibili, sulla base di criteri oggettivi, così da essere suscettibili di formare oggetto di autonome attività di impresa;
– contraddistinte ciascuna da una propria struttura organizzativa;
– esercitate ciascuna in modo sistematico e non occasionale.
Come noto, nei confronti dei soggetti che esercitano più attività, l’imposta si applica unitariamente e cumulativamente con riferimento al volume di affari complessivo.
La suddivisione delle attività svolte costituisce deroga (obbligatoria – nei casi disciplinati nei commi 2 e 4 dell’art. 36 DPR 633/72, o facoltativa – nelle ipotesi di cui al comma 3 del citato articolo) a tale principio generale.
In modo particolare l’art. 36, comma 3, del DPR 633/72 prevede che “I soggetti che esercitano più imprese o più attività nell’ambito della stessa impresa, ovvero più arti o professioni, hanno facoltà di optare per l’applicazione separata dell’imposta relativamente ad alcuna delle attività esercitate, dandone comunicazione all’ufficio nella dichiarazione relativa all’anno precedente o nella dichiarazione di inizio dell’attività. […]“. In tal caso “la detrazione di cui all’art. 19 spetta a condizione che l’attività sia gestita con contabilità separata ed è esclusa (…) per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente”.
Il successivo comma 5 stabilisce che “in tutti i casi in cui l’imposta è applicata separatamente per una determinata attività la detrazione di cui all’art. 19, se ridotta ai sensi del terzo comma dello stesso articolo ovvero se applicata forfettariamente, è ammessa per l’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa”. L’onere di provare l’imputazione dei costi grava sul contribuente e non può essere assolto invocando criteri di astratta ripartizione proporzionale.
La ratio sottesa all’opzione di cui all’art. 36, comma 3, è quella di neutralizzare i possibili effetti distorsivi scaturenti dalla detrazione forfetaria dell’imposta secondo il metodo del pro-rata nel caso in cui alcune attività esercitate siano imponibili e altre siano esenti (in tal senso cfr. anche in prassi risp. 580/2021).
La sentenza in esame, perfettamente allineata alle indicazioni dell’amministrazione finanziaria (cfr. ex multis, tra le più recenti risp. 501/2022), ribadisce che ai fini della nozione di “più attività nell’ambito della stessa impresa” il riferimento alla classificazione ATECO non può considerarsi come decisivo. E’ quindi possibile optare per la separazione anche in relazione ad attività contraddistinte da un medesimo codice ATECO a condizione che le stesse, collegate ciascuna ad una distinta struttura organizzative e non esercitate in via occasionale, presentino elementi di uniformità e omogeneità nelle loro caratteristiche essenziali, tali da poter essere considerate distinte ed autonome in base a criteri oggettivi e verificabili.
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