Domanda
Nei mesi scorsi, diversi uffici di questo comune hanno provveduto al rinnovo di contratti di servizi (le clausole risultavano espressamente previste nei bandi di gara). A fronte di quanto, stiamo ricevendo una serie di diffide per l’adeguamento del prezzo del contratto. In certi casi si tratta anche di importi consistenti. Si chiede di avere chiarimenti su come possiamo procedere e se l’ente è realmente obbligato a corrispondere gli importi richiesti.
Risposta
La questione della revisione/adeguamento del prezzo di contratto (che riguarda, in particolar modo, i contratti di servizi) è una questione estremamente delicata che può implicare danno erariale nel caso in cui l’adeguamento non sia dovuto.
È altresì noto, che l’attuale codice dei contratti – a differenza di quanto previsto dal decreto legislativo 163/2006, art. 115 – non ha ribadito la clausola obbligatoria dell’adeguamento/revisione del prezzo del contratto. La cui funzione era, ed è, quella di evitare uno squilibrio nel sinallagma contrattuale e che il fornitore/prestatore a fronte di prezzi di mercato aumentati rispetto all’originaria pattuizione, riduca la “qualità” delle proprie prestazioni.
Proprio per evitare queste situazioni si suggerisce, in ogni caso, di prevedere la clausola di revisione (che dovrebbe operare dopo il primo anno di contratto).
Nel caso di specie, il quesito verte sui rapporti tra adeguamento del prezzo e rinnovo del contratto.
Il rinnovo, come ribadito anche da recentissima giurisprudenza, non può essere configurato propriamente come una continuazione del pregresso contratto. In realtà si tratta di un nuovo contratto (infatti è necessario un nuovo CIG) fondato su una nuova pattuizione tra le parti con conseguente nuovo consenso espresso dal fornitore che, legittimamente, non può pretendere una modifica del prezzo che egli stesso ha accettato.
In questo senso, in tempi recentissimi, il Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 7077/2019 che è tornato sulla vicenda ribadendo l’orientamento ultra consolidato.
In sentenza si legge che, come “affermato di recente dalla Sezione (24 gennaio 2019, n. 613) – riprendendo peraltro principi dalla stessa già espressi (27 agosto 2018, n. 5059) – presupposto per l’applicazione” in tema di revisione del prezzo (la sentenza si è pronunciata sul pregresso articolo 115 del decreto legislativo 163/2006) “è che vi sia stata mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale:laddove la prima consiste nel solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario”.
Il rinnovo, invece “scaturisce da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali. Dette specifiche manifestazioni di volontà danno corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario e ancorché privi di alcuna proposta di modifica del corrispettivo.
Laddove ricorra l’ipotesi della rinegoziazione, prosegue il giudice, “il diritto alla revisione non può configurarsi in quanto l’impresa che ha beneficiato di una speciale disposizione la quale preveda la possibilità di rinnovo del contratto senza gara a condizione di un prezzo concordato, non può poi anche pretendere di applicare allo stesso contratto il meccanismo della revisione dei prezzi (Cons. St., sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2479 e 1 giugno 2010, n. 3474; id., sez. VI, 25 luglio 2006, n. 4640). Nel momento in cui le parti confermano il prezzo originario, ciò non può che significare che l’originario assetto di interessi ha conservato le originarie condizioni di equità e sostenibilità economica (su cui non incide, evidentemente, un maggiore o minore margine di lucro), secondo l’autonomo e libero apprezzamento degli stessi interessati (Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2019, n. 3478)”.
Pertanto, alla richiesta di adeguamento, nel caso di rinnovo, il RUP potrà tranquillamente respingere l’istanza.