Domanda
L’art. 18 della legge 183/2010 che prevede un’aspettativa per intraprendere un’altra attività lavorativa si applica anche agli enti locali? Potete darci qualche dettaglio operativo?
Risposta
Con riferimento ai quesiti proposti, si evidenzia quanto segue:
1) la disciplina di cui all’art. 18 della legge 183/2010 e s.m.i., di recente innovata dall’art. 4, secondo comma, della legge 56/2019 (cd. legge sulla “concretezza”), riguarda, per espressa previsione della fonte legale, “i dipendenti pubblici”; tra questi rientrano certamente anche quelli degli enti locali, ricorrendo perciò l’applicabilità di tale tipologia di aspettativa anche ai medesimi;
2) la richiamata legge 56/2019 ha introdotto una importante novità anche in seno alla norma disciplinante un’altra fattispecie di aspettativa, ovvero quella prevista dall’art. 23-bis del d.lgs. 165/2001. L’art. 4, comma 1, ha infatti sostituito agli originali beneficiari di tale aspettativa (che erano nella stesura originaria i soli dirigenti), comunque soggetta a possibile diniego da parte dell’amministrazione per preminenti e motivate ragioni organizzative, la generale categoria dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. A decorrere dall’entrata in vigore della modifica, che ha ampliato enormemente la platea dei possibili interessati, tutti i dipendenti pubblici, ivi inclusi quelli degli enti locali, sono pertanto titolati a richiedere l’aspettativa di cui al richiamato art. 23-bis del TUPI.
Tale aspettativa, va evidenziato per quanto di interesse del quesito, ha durata massima possibile decisamente superiore rispetto alla esaminata al punto 1), poiché il comma 4 del citato articolo 23-bis, prevede che: “Nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza”. Anche in questo caso, si sottolinea, è stata la legge 56/2019 a introdurre la rinnovabilità del periodo concesso, come nel caso della legge 183/2010.
3) la particolare forza della previsione del d.lgs. 165/2001 risiede anche nella lettera dell’incipit del comma 1 dell’art. 23-bis, che dispone: “In deroga all’articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia, e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale”.
Ciò vale a tracciare una sottolineatura ulteriore rispetto all’aspettativa di cui alla legge 183/2010: l’istituto regolato dal d.lgs. 165/2001 consente con ancora maggiore forza, infatti, ai dipendenti pubblici di sottrarsi al principio dell’unicità del rapporto di pubblico impiego, grazie alla deroga espressamente prevista dall’art. 23-bis all’ivi richiamato d.p.r. 3/1957, che all’art. 60 recita: “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, ne’ alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”;
4) chi scrive ritiene pertanto che il dipendente, una volta che l’amministrazione stabilisca di concedere l’aspettativa, potrà svolgere attività libero-professionale o imprenditoriale (casistica del resto espressamente riportata dal testo dell’art. 18) nel caso dell’aspettativa annuale della legge 183/2010, la cui formulazione sembra far propendere lo strumento normativo in tale direzione, sebbene non escluda tassativamente la prestazione di lavoro subordinato ed anzi, al comma 2, prefiguri una deroga generale alle norme sull’incompatibilità di cui all’art. 53 del TUPI; potrà, a parere nostro piuttosto certamente, anche assumere servizio come lavoratore dipendente presso soggetti privati, nel caso l’aspettativa richiesta, e concessa, sia disposta ai sensi dell’art. 23-bis del d.lgs. 165/2001. Forse, anche nella valorizzazione di questa fattispecie deve essere letta la riforma dell’art. 23-bis. Naturalmente, in ogni caso, poiché l’aspettativa pone il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la pubblica amministrazione di appartenenza in condizioni di mera “sospensione”, si ritiene che l’eventuale rapporto di lavoro subordinato che il dipendente intraprenda con un soggetto privato non possa che essere a tempo determinato, e assoggettato pertanto alle norme sui contratti a t.d. del comparto privato;
5) non si ritiene vi sia specifico impedimento a che il dipendente svolga attività afferente allo specifico profilo professionale posseduto, potendo il medesimo occuparsi di attività, tanto in caso di attività autonoma quanto di lavoro dipendente, sia nello stesso ambito che in ambito diverso. Occorre sottolineare in proposito, però, che la stessa fonte legale, nel caso dell’art. 23-bis del d.lgs. 165/2001, pone in capo all’ente il dovere di verificare eventuali incompatibilità, disponendo al comma 5 che: “L’aspettativa per lo svolgimento di attività o incarichi presso soggetti privati o pubblici da parte del personale di cui al comma 1 non può comunque essere disposta se:
a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l’attività. Ove l’attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all’immagine dell’amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l’imparzialità”.